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Sinti, Rom, Romanì, Gitani, Zingari, sono alcuni dei tanti nomi con cui cerchiamo di definire un popolo che rimane, per chi non vi sia nato, comunque sempre misconosciuto. Le sue origini remote sono incerte ed infiorite di racconti favolosi. Nel corso della storia, nelle svariate esperienze di insediamento e relazione con le società stanziali di turno, questo popolo ha sempre vestito i panni della minoranza; spesso di quella sua fascia tanto estrema da finire nel vortice della persecuzione.

Alla pluralità di nomi che abbiamo a disposizione, come “società occidentale”, per richiamare quel popolo, nei nostri discorsi, corrisponde l’opposta fumosità nel riconoscerne le caratteristiche. A questo vuoto di significato, spesso riempito di nostri stereotipi, contribuisce anche la sua stessa tradizione, fatta di una certa impermeabilità all’esterno. Così pure oggi, troppo spesso, gli unici istanti in cui quella realtà viene alla luce, sono momenti in cui su di essa si accendono i riflettori dell’interesse mediatico. In quei frangenti quasi sempre drammatici, il rom, sinto o zingaro che sia detto, è al centro di una scena scabrosa e tragica, carnefice o vittima che egli sia.

Raramente pensiamo a queste persone come a dei cittadini, ci stupiamo di scoprire che sono nate nella nostra stessa nazione, o che sono nostre concittadine. Ancor più raramente sospettiamo che, tra queste, alcune di loro vorrebbero avere la possibilità di abitare in residenze stabili. Uno scarto ancora maggiore, nella considerazione che si potrebbe loro dare, condurrebbe a riconoscerli come cittadini speciali, seppure alla pari degli altri, per la loro specifica forma di abitare e realizzare comunità.

Proprio quest’ultima però è stata la proposta su cui hanno cominciato un percorso sperimentale le comunità Sinte e la città di Trento in cui queste sono stanziate. Come nella maggioranza dei casi italiani, la comunità Sinti di Trento vive divisa in diversi campi abusivi nelle zone periferiche della città: alcuni permanenti, altri temporanei. La legge provinciale n. 43 del 22 ottobre 2009 cambia però le cose. Questo testo di legge prevede infatti la realizzazione di aree residenziali di comunità, attraverso cui cercare di creare un'occasione d'integrazione nel rispetto, per i Sinti, della propria integrità culturale. Esperienza seguita e raccontata da uno sguardo fotografico intento non a mostrarci lo scandalistico o favolistico mondo zigano, ma lo straniante effetto di immagini a noi consuete, famigliari, domestiche dove il posto in cui solitamente siamo ritratti noi viene preso dalle inattese facce brune e baffute di quelli estranei, quando non esclusi, alla nostra normalità.

Scatti che non raccontano la denuncia di un orrore ma che spiazzano, sottraggono la realtà al canone del normale, creando un cortocircuito nella consuetudine dello stereotipo.